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Pubblico Impiego

Chi è il dipendente pubblico?

Pubblico Impiego

Chi è il dipendente pubblico?


27 dicembre 2021

Dal punto di vista giuridico la definizione di dipendente pubblico si costruisce su due elementi: uno soggettivo e uno oggettivo. Definire il dipendente pubblico dal punto di vista soggettivo significa fare riferimento al soggetto alle cui dipendenze il lavoratore presta servizio, mentre la dimensione oggettiva fa riferimento all’insieme di regole che disciplinano il rapporto di lavoro alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione.

“Dipendente pubblico”, “Pubblico Impiego”, “lavoro pubblico”, “Pubblico Impiego privatizzato” sono espressioni di uso frequente non solo nei manuali di diritto amministrativo o del lavoro, ma anche sui giornali e sui media. Non solo. La categoria del dipendente pubblico è anche entrata a far parte del linguaggio letterario e cinematografico divenendo, a seconda dei casi, oggetto di scherno, ironia, sarcasmo, ammirazione, invidia o altro. Le riflessioni sociologiche e le rappresentazioni artistiche dell’impiegato pubblico attraversano il tempo e la geografia, almeno a partire dall’affermazione in Europa degli Stati-nazione e della nascita della moderna burocrazia.

Le ragioni per cui questa categoria di lavoratori suscita un così vasto interesse da parte dell’opinione pubblica sono almeno due: la prima, riguarda la loro numerosità; la seconda, riguarda il fatto che il costo del lavoro pubblico è sopportato dalla collettività.

C’è almeno una terza ragione per cui una vasta platea di cittadini e analisti è interessata ai dipendenti pubblici: la composizione e le caratteristiche del Pubblico Impiego in un dato momento storico incidono sulla capacità della macchina pubblica di essere innovativa, efficace, efficiente. In ultima analisi, considerando il dipendente pubblico l’anima dell’amministrazione, si può affermare che le sue caratteristiche influiscono in modo determinante sulla capacità delle istituzioni pubbliche di rispondere ai bisogni espressi dalla collettività.

La definizione di dipendente pubblico, infatti, varia nel tempo perché dipende da una combinazione di regole che non sono universali nello spazio e nel tempo (come lo sono ad esempio le leggi naturali), ma sono leggi giuridiche e pertanto soggette a scelte di natura politica.

Il modo in cui queste regole si combinano tra loro è anch’esso soggetto a cambiamenti, e può rendere il dipendente pubblico più o meno simile a un dipendente privato.

La categoria del dipendente pubblico è anche entrata a far parte del linguaggio letterario e cinematografico divenendo, a seconda dei casi, oggetto di scherno, ironia, sarcasmo, ammirazione, invidia o altro. Le riflessioni sociologiche e le rappresentazioni artistiche dell’impiegato pubblico attraversano il tempo e la geografia, almeno a partire dall’affermazione in Europa degli Stati-nazione e della nascita della moderna burocrazia

Nonostante i tentativi più o meno espliciti di individuare caratteristiche immutabili del dipendente pubblico, tentare di rispondere alla domanda chi è il dipendente pubblico potrebbe essere fuorviante. In questo senso, la domanda è mal posta, e una prima riformulazione potrebbe essere questa: chi è il dipendente pubblico oggi?

La domanda, potrà allora essere formulata così: quali sono gli elementi che dal punto di vista dell’ordinamento consentono di distinguere, in questo momento storico, il dipendente pubblico dalle altre categorie di lavoratori?

Distinguere un dipendente pubblico

Dal punto di vista giuridico la definizione di dipendente pubblico si costruisce su due elementi: uno soggettivo e uno oggettivo.

Definire il dipendente pubblico dal punto di vista soggettivo significa fare riferimento al soggetto alle cui dipendenze il lavoratore presta servizio. In questo senso il volto del dipendente pubblico è uno e uno solo: la persona che lavora alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione. Che cos’è una Pubblica Amministrazione? Esistono diverse definizioni che dipendono anche dal contesto in cui occorre identificare la Pubblica Amministrazione. Ad esempio, nell’ambito della contabilità nazionale rientrano nel perimetro della Pubblica Amministrazione gli enti inclusi nella cosiddetta “Lista S13” compilata dall’ISTAT (per un approfondimento si rinvia all’articolo “Conti pubblici: la contabilità nazionale e i conti di cassa” pubblicato sul portale OpenBDAP). Quando si parla di “Pubblico Impiego” si fa riferimento alle amministrazioni pubbliche così come individuate nell’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 165 del 2001, intitolato Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e noto come Testo unico del Pubblico Impiego (TUIP).

In base a questo articolo sono amministrazioni pubbliche: “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.

La definizione soggettivistica così raggiunta (il pubblico dipendente è colui che presta la propria attività lavorativa alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione) è ancora insufficiente a dipingere il volto del dipendente pubblico.

Ciò che infatti consente di tracciare le differenze tra il dipendente pubblico e gli altri lavoratori è la dimensione oggettiva della definizione. Per dimensione oggettiva della definizione si intende quella che fa riferimento all’insieme di regole che disciplinano il rapporto di lavoro alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione. In altri termini, una definizione di Pubblico Impiego che abbracci le sue peculiarità non può prescindere dalla combinazione delle fonti giuridiche del rapporto di lavoro. Le fonti del rapporto di lavoro sono essenzialmente la legge e il contratto collettivo. La misura in cui, in un dato momento storico, nella disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione prevale l’una o l’altra fonte, disegna la vera natura del Pubblico Impiego.

Se il rapporto di lavoro si fonda interamente sulla legge, la sua natura sarà essenzialmente pubblica e disciplinata da atti autoritativi. Se, viceversa, il rapporto trova la sua principale fonte nel contratto individuale e nel contratto collettivo nazionale (CCNL), la sua natura sarà privatistica e fondata sull’incontro di volontà del datore di lavoro e del lavoratore, nonché delle parti che partecipano al processo di contrattazione collettiva.

Se si volesse usare una metafora per definire cosa siano le fonti giuridiche del rapporto di lavoro, si potrebbe paragonare tale rapporto ad un gioco da tavolo con due giocatori.

In una prima ipotesi, le regole del gioco potrebbero essere interamente predefinite e riportate in un foglietto di istruzioni su cui i giocatori non hanno alcun potere di intervento (legge, ovvero fonte autoritativa). In una diversa ipotesi, le regole del gioco potrebbero essere stabilite da un accordo tra i giocatori stessi (contratto, ovvero fonte negoziale). In tale ultimo caso, le regole da seguire per arrivare all’accordo tra i giocatori potrebbero comunque trovarsi nel foglietto delle istruzioni (processo di contrattazione collettiva definito dalla legge).

Le regole del gioco potrebbero essere infine definite da una combinazione di questi fattori: per esempio il foglietto illustrativo potrebbe definire le regole di base che orientano le mosse dei giocatori, indicare i casi di “squalifica”, attribuire a uno dei due giocatori il potere di prendere alcune decisioni unilaterali, rendere applicabili le regole che normalmente si applicano ad altri tavoli. Il resto (premi, sostituzioni, durata etc.) potrebbe essere lasciato al libero accordo tra i giocatori. Il rapporto di lavoro pubblico, che indichiamo nella nostra metafora come “tavolo A”, è tipicamente caratterizzato dalla combinazione delle fonti: parte della disciplina è infatti contenuta nella legge, e altra parte nel contratto.

Immaginiamo ora che su un altro tavolo, che indichiamo come “tavolo B”, si svolga il gioco del lavoro privato: qui l’autonomia dei giocatori è molto forte, perché le regole sono quasi interamente stabilite da un loro accordo e il foglietto delle istruzioni preconfezionate è ridotto a poche righe.

Si comprende allora che quanto più la combinazione di istruzioni e accordo (combinazione delle fonti) sarà configurata in modo da lasciare spazio all’accordo, tanto più il gioco del tavolo A somiglierà a quello del tavolo B.

Se il rapporto di lavoro si fonda interamente sulla legge, la sua natura sarà essenzialmente pubblica e disciplinata da atti autoritativi. Se, viceversa, il rapporto trova la sua principale fonte nel contratto individuale e nel contratto collettivo nazionale (CCNL), la sua natura sarà privatistica e fondata sull’incontro di volontà del datore di lavoro e del lavoratore, nonché delle parti che partecipano al processo di contrattazione collettiva

Ma cosa distingue davvero i due tavoli? Perché nel tavolo B le istruzioni preconfezionate sono ridotte all’osso, mentre nel tavolo A si verifica quasi sempre una situazione “mista” di fonti?

Per rispondere occorre tenere in considerazione la vera peculiarità del tavolo A: l’autore del foglietto di istruzioni (Stato) è anche uno dei due giocatori (Pubblica Amministrazione). Lo Stato, d’altra parte, non può essere considerato alla stregua di un qualsiasi giocatore: gli obiettivi perseguiti dalla Pubblica Amministrazione hanno a che fare con l’interesse pubblico e l’organizzazione delle attività dirette al loro conseguimento risente in misura più o meno ampia di tale peculiarità.

Dipendente pubblico, dipendenti pubblici

Se si considera il piano oggettivo, vengono subito in rilievo due considerazioni.

La prima riguarda il fatto che mentre il piano soggettivo è tendenzialmente statico, il piano oggettivo è con più frequenza soggetto a scossoni e cambi di direzione.

In altri termini, le scelte politiche che si traducono in riforme del lavoro pubblico incidono sulla combinazione di fonti che disciplinano il rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, facendo prevalere, a seconda dei casi e dei periodi storici, fonti di natura pubblicistica (legge e atti autoritativi) o fonti negoziali (contratto individuale e CCNL).

Quando si parla di “Pubblico Impiego privatizzato” si fa dunque riferimento alla conseguenza di un insieme di riforme che, a partire dagli anni Novanta, hanno spostato l’accento della disciplina del lavoro pubblico a favore del contratto, ovvero della concertazione e dell’incontro di volontà tra parte pubblica (rappresentata dall’Agenzia ARAN) e organizzazioni sindacali (OO.SS.). Per un approfondimento del processo di contrattazione collettiva si rimanda all’articolo “Contrattazione collettiva nazionale: che cos’è e come funziona” pubblicato su questo portale.

Riprendendo la metafora del gioco, si può affermare che tali riforme hanno ridotto l’ampiezza del foglietto delle istruzioni, assegnando ai giocatori stessi il compito di stabilire gran parte delle regole. Questo processo è definito come “privatizzazione” nel quale lo Stato, in un determinato settore, si “ritira” a favore di una maggiore autonomia delle parti sociali (rappresentanti del datore di lavoro e sindacati di categoria) nella scelta delle regole.

Il dipendente pubblico, oggi, somiglia al dipendente di un’azienda privata molto più di quanto non gli somigliasse fino al 1992.

La seconda considerazione riguarda il fatto che mentre il piano soggettivo è universale (non ci sono dipendenti pubblici che non siano alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione), il piano oggettivo contempla eccezioni rispetto alla fonte prevalente. Non per tutti i lavoratori pubblici, infatti, il rapporto di lavoro è disciplinato dalla combinazione di fonti (legge e contratto). Oggi, la fonte prevalente del rapporto di Pubblico Impiego è il contratto collettivo e, pertanto, i dipendenti pubblici soggetti ai CCNL sono indicati come personale contrattualizzato.

Tuttavia, in base all’articolo 3 del Testo Unico sul Pubblico Impiego (TUPI), una serie di categorie di lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni sono esclusi dalla privatizzazione.

Questo significa che il loro rapporto di lavoro continua ad essere disciplinato da norme di tipo pubblicistico e non dal diritto civile e dai contratti collettivi.

Per grandi linee si tratta di: magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale delle carriere diplomatica, prefettizia e dirigenziale penitenziaria, professori universitari. Tali categorie rappresentano il personale in regime di diritto pubblico.

Quando si parla di “pubblico impiego privatizzato” si fa dunque riferimento alla conseguenza di un insieme di riforme che, a partire dagli anni Novanta, hanno spostato l’accento della disciplina del lavoro pubblico a favore del contratto, ovvero della concertazione e dell’incontro di volontà tra parte pubblica (rappresentata dall’Agenzia ARAN) e organizzazioni sindacali (OO.SS.)

Come si configura il Pubblico Impiego oggi?

Torniamo alla domanda iniziale, su chi sia il dipendente pubblico oggi. Se si escludono le categorie indicate come personale in regime di diritto pubblico, che rappresentano, in base agli ultimi dati disponibili riportati nel Conto Annuale 2019 (per il quale si rimanda all’articolo “Che cos’è il Conto Annuale delle spese di personale?” in questo portale), non più del venti per cento del personale alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, il restante ottanta per cento del personale rientra nella categoria del Pubblico Impiego privatizzato, ovvero nel personale contrattualizzato. In linea generale, questo significa che il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è disciplinato da un insieme di fonti tra le quali prevalgono quelle di diritto privato e i contratti collettivi (CCNL).

A stabilirlo è la legge. In particolare, l’articolo 2 del TUPI, in base al quale “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo”.

I rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici sono regolati da contratti collettivi stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel Testo Unico. Le parti della contrattazione sono un’apposita agenzia in rappresentanza della parte datoriale pubblica (ARAN), e le organizzazioni sindacali. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali.

In questo quadro, una funzione specifica è attribuita al dirigente pubblico, che in base al TUPI provvede alla gestione non solo delle risorse finanziarie, ma anche dell’organizzazione del personale assegnato al proprio ufficio, configurandosi alla stregua di un vero e proprio datore di lavoro privato.

Qual è dunque lo spazio residuo in cui le amministrazioni pubbliche, in ambito datoriale, agiscono secondo il modello autoritativo tradizionale?

In base al Testo Unico, alle amministrazioni spetta adottare, in via unilaterale, i cosiddetti atti di macro-organizzazione, ovvero quelli con cui si individuano le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi e, infine, le dotazioni organiche complessive.